“Bee’s Dream” di Pramuda mi ha colpito come poche canzoni sanno fare. È uno di quei brani che non si ascolta soltanto con le orecchie, ma che ti entra piano piano dentro, come una brezza leggera carica di significati profondi. La fusione tra italiano, inglese e arabo non è solo originale: è necessaria, perché il messaggio è universale.
L’idea di un’ape che torna a volare dopo un disastro ambientale è poetica e potente. Un simbolo piccolo, ma carico di speranza. E in un mondo che corre e consuma tutto, una canzone che rallenta, riflette e sogna è un atto rivoluzionario.
La produzione è curata, raffinata, senza mai risultare fredda. C’è calore, passione, visione. Le voci, i suoni, il sitar… tutto contribuisce a creare un’esperienza sensoriale e quasi spirituale.
“Bee’s Dream” non è solo una canzone: è un invito. A guardare il mondo con occhi nuovi. E, soprattutto, a non dimenticare quanto siano importanti anche le creature più piccole.

