Ho ascoltato tutti i brani pubblicati finora da BOHRIS e una cosa che ho sempre apprezzato è il suo modo di raccontare la notte. Nei suoi pezzi precedenti, la notte era quasi sempre un rifugio: uno spazio intimo, malinconico, ma sicuro, dove potevi restare a guardarti dentro senza fretta, senza filtri. Con “Una scusa”, invece, qualcosa cambia. Il sound resta coerente con la sua identità — elettronico, sognante, ma sempre con quella punta di tristezza lucida — però il messaggio si trasforma. Ora la notte non è più un porto sicuro, ma un posto da cui fuggire.
Questa virata mi ha sorpreso, lo ammetto. Non perché non ci stia, anzi: è proprio questo che rende il brano così interessante. BOHRIS non si ripete, non si adagia. Continua a esplorare, a mettersi in discussione. E in “Una scusa” si percepisce chiaramente il bisogno di evasione, di aria, di movimento. Il testo è pieno di immagini semplici ma potenti — bottiglie vuote, sigarette dimenticate, paranoie che si rincorrono — e tutto questo crea una sensazione familiare, autentica.
È uno dei suoi brani che mi ha colpito di più finora, perché suona vero. Come se stesse cercando anche lui una scusa per respirare un po’. E chi non ne ha mai avuto bisogno?

