Komorebi è un’esperienza più che un ascolto, una lente sonora capace di trasfigurare la materia quotidiana in impressioni sfuggenti. Buonarroti, con questo secondo EP strumentale, si allontana definitivamente da ogni esigenza narrativa tradizionale per costruire un paesaggio interiore dove suoni e silenzi parlano con più sincerità delle parole.
Intro non si accontenta di essere una semplice apertura: è un punto di transito. Il beat essenziale, appena suggerito, non offre appigli, ma piuttosto dissolve i contorni. È una soglia: la realtà resta fuori.
Komorebi, title track, illumina la scena come un lampo gentile tra i rami. Gli arpeggi di glockenspiel galleggiano sopra una base ambient che non cede mai al manierismo. È un equilibrio prezioso tra nostalgia e sospensione, la cui bellezza risiede nel suo non pretendere nulla.
Age of paranoia aggredisce. Il richiamo alla drum and bass è tutt’altro che gratuito: l’andamento spezzato e frenetico evoca la sovrastimolazione del presente, il bombardamento costante di input e ansie. Gli archi distorti, come grida metalliche, sono forse il vertice più disturbante e riuscito del disco.
Homesick è, in apparenza, il brano più riconciliato. Ma è un inganno. Il dialogo tra la chitarra post-rock e l’arpeggiatore anni ’80 crea un cortocircuito emotivo che profuma di ricordo, ma lascia dietro di sé una traccia inquieta. È il classico momento in cui la malinconia riesce a sedurre.
Don’t worry…you’re dead! è un titolo provocatorio, ma il brano sorprende per profondità. Il pianoforte iniziale richiama una compostezza classica, poi rotta da un impianto ritmico e sonoro abrasivo. La seconda parte, rarefatta e spirituale, apre uno squarcio verso una possibile redenzione. È come un sogno dopo una notte febbrile.
What are you running from? chiude con leggerezza solo apparente. Il groove da Big Beat non è evasione, ma una domanda mascherata da danza. È come sorridere in mezzo alla tempesta, sapendo che la quiete non è mai definitiva.
Buonarroti riesce in ciò che molti tentano e pochi centrano: raccontare l’indicibile senza farne una posa. Komorebi è un’opera di equilibrio fragile e fascino persistente.

