Giuseppe Cucè realizza con “21 GRAMMI” un’opera che somiglia più a un diario di viaggio esistenziale che a una raccolta di canzoni. Ogni brano è una tappa, un’interrogazione sul senso del vivere, sull’amore, sulla memoria. Non c’è l’intento di rassicurare l’ascoltatore, quanto quello di aprire brecce nella superficie liscia della quotidianità.
“È tutto così vero” è il manifesto dell’intero disco. Parte da una scena intima, quasi cinematografica, per restituire la pienezza dell’esperienza umana quando si libera da ogni filtro. Il corpo è protagonista ma non dominante, è strumento di verità.
“Ventuno” è un vertice lirico. Il concetto dei 21 grammi diventa occasione per meditare su cosa resta di noi. Le parole scorrono tra ricordi, carezze, ferite e un desiderio di autenticità che diventa urgenza.
“Dimmi cosa vuoi” è uno dei brani più accessibili ma non per questo meno densi. L’amore come rifugio e tempesta, come ostinazione quotidiana. La voce di Cucè è accorata ma lucida, consapevole delle crepe eppure disposta a camminarci sopra.
“Fragile equilibrio” è il suono dell’instabilità interiore che diventa bellezza. Il brano evoca immagini potenti e simboliche, costruendo un micro-mondo in cui cedere è umano e necessario per rinascere.
“La mia dea” ha il tono intimo di una preghiera laica. Non c’è retorica nella figura materna, ma presenza viva, concreta, quasi salvifica. Il brano racconta la costruzione della propria identità a partire da uno sguardo d’amore.
“Cuore d’inverno” è il gelo moderno: la solitudine di chi è circondato da immagini, stimoli, presenze virtuali, ma manca del tocco. È una ballata sulla disconnessione emotiva, sull’amore che si spegne nel rumore di fondo del mondo.
“Tutto quello che vuoi” è satira e filosofia in forma di pop cantautorale. Smaschera il mito della libertà assoluta, restituendo il paradosso di una società che offre tutto, ma lascia vuoti.
“Una notte infinita” ha una dolcezza dolorosa: la distanza fisica diventa metafora dell’assenza emotiva. Un viaggio che non si sa quando finirà, ma che è attraversato dalla speranza che qualcosa, dentro, stia cambiando.
“Di estate non si muore” è la chiusura perfetta per un disco che non vuole consolare. Con sguardo lucido e amaro, Cucè parla della Sicilia come di un luogo bellissimo e contraddittorio. L’“estate eterna” è metafora di immobilismo e rinuncia, raccontata con amore critico.
In “21 GRAMMI”, Giuseppe Cucè costruisce un ponte tra visione poetica e riflessione civile, tra il personale e l’universale. Un disco che pesa poco, come l’anima, ma resta incollato addosso.