Con “Barriere”, LaFabbrica costruisce un mondo dove la fatica quotidiana si trasforma in linguaggio, e il disincanto diventa voce collettiva. È un disco che suona come una barricata emotiva, fatta di corde tese e verità scomode. Si apre con Non mi aspettare, una traccia breve e feroce che incarna già l’urgenza dell’intero progetto: chitarre ruvide, sezione ritmica affilata e un testo che mette subito in chiaro i contorni dell’isolamento relazionale. Da qui, Barriere prende forma come un racconto stratificato.
Fuori conferma l’intenzione: è il brano manifesto di una generazione assuefatta alla propria comodità, dove il mondo esterno diventa rumore di fondo. Il groove incalzante accompagna un testo lucido, diretto, essenziale. Poi arriva Kiev, e il tono cambia radicalmente: la guerra, vissuta con lo sguardo di un padre, si fa racconto intimo. Le distorsioni diventano lacerazioni, la voce è tremante, quasi sommersa da tutto quello che non si riesce a dire.
Nella tua testa si muove come una marcia ossessiva, dentro una quotidianità che si ripete sempre uguale. È un pezzo che gira su sé stesso, fino a scardinarsi in un finale liberatorio. Con Come stai Matteo?, LaFabbrica sferza ogni presunta coerenza: un brano duro, sincero, dove la scrittura è affilata e il suono si fa compatto, scarno, necessario.
Il disco si apre allora a una dimensione più intima con Dopo tutto sono io, una ballata tesa e poetica, capace di toccare corde profonde senza mai cadere nel sentimentalismo. Un passaggio obbligato verso la consapevolezza. Regina ribalta il tavolo: è il brano più duro, sporco, quasi stoner, ma in quel muro di suono c’è tutta la complessità di chi cerca salvezza fuori da sé.
Con A fari spenti, LaFabbrica mette in scena una corsa cieca verso il nulla, un gesto estremo per sentirsi vivi in un mondo che anestetizza. E poi Intorno, l’ultima traccia, chiude tutto con una malinconia collettiva, raccontando la depressione di chi si sente sbagliato davanti alla falsa perfezione degli altri. È il brano che più di tutti lascia spazio: al vuoto, alla riflessione, alla possibilità.
Barriere non consola, ma capisce. È un disco che non cerca l’applauso, ma l’empatia. E per questo lascia il segno.

